Quando in mescola con moderne e tecnologiche fibre da bio-polimero (da biomassa e biodegradabile a fine ciclo), offre la possibilità di rinunciare alle pericolose per l’ambiente miste di fibre sintetico+naturali dal fine vita disomogeneo e quindi destinate anche dopo una potenziale seconda vita (riciclo/riuso) ad essere bruciate senza reinserimento in natura (come la biodegradazione consente) al contrario di come richiederebbe la EU e soprattutto la logica di sostenibilità. Di ricerche scientifiche, studi e dimostrazioni scaricabili è pieno il web, per chi vuole divertirsi a saperne di più. Ma è la stessa storia della fibra che ce lo insegna, se non si continuasse a ficcare la testa sotto la sabbia. E’ il compito dell’ecodesign sarà dimostrarne la fattibilità e l’utilità anche sociale, non solo tecnica o ideologica. Indebolimento (politico) e perdita della filiera Infatti il problema sembra proprio questo: da un lato abbiamo potenzialità come la fibra di canapa con tutte le sue proprietà e spazi produttivi da sottrarre al declino produttivo nonché competenze agricole ma al contempo l’Italia oggi non è, nei fatti, salvo alcune eccezioni di nicchia rispetto la consumo, un produttore di fibre né naturali né industriali: allora perché la filiera della fibra di canapa non (RI)decolla? Questione tecnica o politica? Secondo uno studio della Università La Sapienza di Roma del 2010 il consumo di fibre tessili in Italia era di 70 miliardi di KG ( per un rapido confronto: 1 shirt pesa 0,150 kg e un paio di jeans 0,700 kg) di solo 37% fibre naturali. Sicuramente oggi questi dati sono, per varie ragioni sia commerciali che industriali, sicuramente diminuiti ma uno studio pubblicato da sito “solomodasostenibile.it” conferma un consumo di abiti, scarpe, arredamento quindi soprattutto di fibre di 15 kg per ciascun cittadino italiano che moltiplicato per 58 milioni significa comunque 870 milioni di kg, il che conferma indirettamente comunque la vocazione alla esportazione del sistema tessile/moda italiano. Quindi cifre ragguardevoli comunque. Infine siamo il Paese della EU che detiene il primato europeo (60%) della produzione di Moda con la M maiuscola, siamo riconosciuti globalmente per la creatività, abbiamo le competenze tecniche su tutta la filiera industriale del ciclo tessile; esportiamo macchine del ciclo tessile in tutte le aree del globo, Cina inclusa, nonostante sia un copiatore eccezionale. In Italia oggi non produciamo che marginalmente rispetto al consumo, le fibre tessili: non quelle artificiali seppure la Viscosa fosse una sviluppo tutto Italiano mentre il maggior produttore mondiale di questo tipo di fibre cellulosiche è appena fuori confine, in Austria. Ci sono eccellenze italiane nel campo delle fibre sintetiche ma i numeri sono comunque relativi rispetto alla importazione. La fibra dl polipropilene (PP) è anche questa fibra di sintesi, storia italiana; infine la produzione di fibra di poliestere (PET) è pressoché marginalizzata nell’arco di un trentennio; anche quella riciclata da bottiglie oggi largamente importato non solo dall’Asia ma certo non più tanto dalla Europa continentale; le fibre naturali come la lana per abbigliamento (e arredamento salvo nicchie) sono tutte importate con progetti di recupero spesso inibite da sistema finanziario non lungimirante, lino idem come la fibra di canapa, di cui subito dopo la guerra eravamo ancora produttori. Questa invece resta, guarda caso, in appannaggio a diversi Paesi del Nord Europa (Belgio, Francia, Lituania tanto per citarne alcuni) per produzione e utilizzo sia in campo tessile abbigliamento/arredamento che edilizia. La filiera della lavorazione della canapa per la produzione di fibra tessile in Italia si è dunque persa, nonostante tentativi di rivitalizzazione da parte di coraggiosi o “improvvidi” imprenditori privati nonché l’impegno di Federcanapa soprattutto per gli aspetti legati alla produzione agricola ovvero di processo in campo (tecnica di lavorazione/estrazione) più che di processo tecnico tessile, a partire dalla “degommazione” necessaria per l’estrazione della fibra tessili dalla corteccia. Questo mentre assistiamo oggi ad un primo lancio “di immagine” del cotone italiano (di cui abbiamo appena iniziato una prima timida ma promettente produzione grazie – se possiamo dire così – al cambiamento climatico). Siamo stati pionieri e quindi utilizzatori delle fibre naturali come ramie, ortica e ginestra, oggi smarrite o giù di lì se non per produzioni di nicchia, diventando alla fine un Paese costretto alla importazione di materia prima piuttosto che di semilavorati, lasciandoci il primato solo del gusto della fantasia e della tecnica e….dell’immagine. Tutto questo quando con l’attuale governo si predica la valorizzazione delle eccellenze italiane e del made in Italy). https://vnpolyfiber.com/what-is-hemp-fiber-and-hemp-fabric. Prospettive future potenziali Occorre essere realisti ma anche tecnicamente preparati e forse ancora un pò visionari. La produzione di fibra di canapa in Italia per uso sia tessile abbigliamento/arredamento che tecnico, non è sufficiente; quella usata da noi proviene infatti dal Nord ed Est Europa; la certezza è che lo potrebbe soprattutto se nella produzione di capi di abbigliamento sia quotidiano che da lavoro, si guardasse più a cosa serve un capo, alla sua bellezza ed efficacia piuttosto che a rincorrere il branding per tutti – leggi: fast fashion – che punta al prezzo basso e al volume per unità di vendita. Ma arriverà anche per i brand la necessità di usarla: è fatale e lo sarà in contrapposizione all’uso indiscriminato delle fibre sintetiche di massa quali il poliestere (scelto principalmente per il prezzo basso, combinato con la resistenza meccanica). Per raggiungere questo necessario obiettivo si dovrà però cambiare o aggiornare anche la dinamica produttiva: da filatura per fibra lunga (la filatura ad umido tipica liniera) a fibra più corta – detta anche “cotonizzata” – (v.foto 3) utile certamente per la filatura cotoniera ma anche laniera. Lo sarà soprattutto per le sue proprietà meccaniche e fisiche (resistenza, mano, tingibilità, assorbimento, flessibilità) ma anche per consentire quel fine vita coerente dei materiali che costituiscono il capo di abbigliamento, come indica giustamente la strategia del tessile varata dalla comunità Europea nel 2023, sollecitando un modo diverso di creare un prodotto tessile (ecodesign) dal momento che le mescole ormai entrate in quasi tutti i prodotti tessili arredo e abbigliamento, tra fibre sintetiche e naturali sono ad oggi inseparabili, se non perdendone una delle due nel riciclo chimico o tutte e due nei termo(s)valorizzatori, il che vuol dire gettare al vento un capitale di ingegneria, energia, creatività, risorse. In questo processo di recupero, riuso e upcycling di risorse inespresse ad oggi, occorre comunque notare che mentre i materiali cellulosici naturali o artificiali derivate da piante (canapa, lino piuttosto che, rayon, lyocell o tencel) spesso si possono integrare tra loro nel fine vita (biodegradabile), i polimeri sintetici come polipropilene, poliestere o poliammide, quando mescolati tra loro, (da fibre piuttosto che imballaggi), non si combinano facilmente assieme, non garantiscono resistenza nel tempo, avendo strutture diverse (reazione alla temperatura, alla luce, alla abrasione, temperatura di fusione ecc) , se non avviati al riciclo quando provenienti da una selezione a monte molto accurata. Questo vale anche per il recupero di fibre proteiche come seta (filamento continuo) piuttosto che lana (fibra) anche se biodegradabili e entrambe presenti in natura, le tecniche di lavorazione nel ciclo tessile restano invece distinte. Infine la fibra di canapa “cotonizzata” può essere largamente usata nella produzione di beni monouso come salviette secche o umidificate per es, in sostituzione della fibra di poliestere che è largamente usata mescolata assieme alle fibre cellulosiche come viscosa o nei casi migliori con il cotone vergine anche da rigenerato, una volta candeggiato/sterilizzato in acqua ossigenata per uso nei prodotti igienici (e non solo per “sbiancare” la fibra come invece pensiamo siano in natura, le fibre di cotone). La conclusione è che occorre tornare ad investire nello studio della fibra tessile di canapa, ridurne il costo grazie anche alla tecnologia estrattiva e tecnologia produttiva e sarebbe utile lo facesse con l’appoggio dello Stato Italiano e non con il suo boicottaggio ideologico. Gli imprenditori agricoli e della filiera tessile mostrino più coraggio ad investire in ricerca.